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parte seconda. 445


L’IMPERATORE e QUATTRO PRINCIPI s’avanzano.

I Lanzi si ritirano.

L’Imperatore. Che monta? nostra è la vittoria, e il nemico sbaragliato e disperso si sparpaglia per gli aperti campi. Sorge quivi il trono abbandonato; e il tesoro seducente, da ricchi tappeti coverto, ingombra tutto il luogo. Noi, colmi d’onoranze, ricinti da’ nostri bravi lanzi, aspettiamo colla maestà di imperatore gl’inviati del popolo; da tutte parti ne piovono buone novelle: oh scenda por una volta la pace su quell’impero che riconosce lieto e festoso la nostra sovranità! Se la stregoneria se n’è anch’essa ingerita, da ultimo noi l’abbiam pagata colla nostra persona. Il caso dichiarasi a pro dei combattenti; grossi macigni cadono giù dal cielo, piove sangue sopra nemico, e dall’imo delle caverne strane grida si levano, grida alte e di tal tenore che a noi si dilata, e in petto al nemico strignesi il cuore e s’aggela. Il vinto è caduto a sua eterna vergogna, il vincitore glorioso e trionfante un inno intuona alla deità propizia, e tutti gridano secolui, senza ch’abbiasi a darne ordine alcuno, Te Deum laudamus, per miriadi, con quanto ne hanno in gola! E frattanto, per sublime e riverente omaggio, volgo alla mia propria coscienza un’occhiata di tenerezza, lo che prima d’oggi ben di rado io faceva. Diasi pure un giovine, principe a sciupare i suoi dì folleggiando, abusandosi della ventura che gli è sortita, e sapranno gli anni renderlo accorto della preziosità d’un istante. Quindi è che senza