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parte seconda. 443

Eilebeute. Codesto mantello di porpora con frange d’oro mel sogna’ io non ha molto.

Habebald, brandendo la mazza. Con tal ninnolo in pugno c’è poco da fare: s’accoppa l’avversario, e via! Tu hai già messo da banda un bel mucchio di roba, e ancora non ponesti nel sacco cosa che valga. Caccia alla malora tutto quell’orpello, e abbranca una di codeste cassette! Qua dentro evvi il soldo destinato all’armata; le son piene zeppe d’argento e d’oro.

Eilebeute. Uh! come pesa! la mi vuol direnare! Non reggo a levarla su, gli è al tutto impossibile ch’io la porti.

Habebald. Spicciati, via! fa di chinarti! incurva un po’ le spalle, ed io su ve la carico.

Eilebeute. Oi! oi! sono spacciata. Il fardello mi accoppa. (La cassetta balle sul terreno, e va in pezzi.)

Habebald. Che bel mucchio di zecchini lampanti! Non si perda tempo; mena a tondo le mani, e arraffa.

Eilebeute, accosciandosi. Lesti, lesti nel mio grembiule! E avronne ad ogni modo carpite tante da averne assai.

Habebald. Basta così! basta, ti dico. Sbrigati dunque. (Eilebeule rizzasi in piedi.) Misericordia! Il grembiule s’è sfondato! Ad ogni passo che fai, per tutto dove ti arresti, versi giù l’oro a macca.

I Lanzi del nostro Imperatore. Che fate qui, miserabili, per entro al sancta sanctorum? Che andate frugando nel tesoro imperiale?

Habebald. Abbiam posto pur noi la vita a risico,