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e cosciali, a mo’ di Guelfi e di Ghibellini, rinnuovano gagliardamente gli eterni loro piati. Saldi negli odii ereditari, dànnosi a divedere irreconciliabili: ed oramai il baccano s’ode echeggiar pur da lunge. Tant’è, in tutte le sublimi orgie infernali, l’animosità de’ partiti fu mai sempre quella che n’apportasse maggior somma d’orrori e di guai. Il fracasso più e più rincalza in tuono spaventevole, panico e ad un tempo penetrante, acuto, indiavolato, sicchè gitta nella vallea terrore e sgomento. (Tumulto militare nell’orchestra, che poi si cangia in allegre guerresche sinfonie.)


LA TENDA DEL PSEUDO-IMPERATORE.


Ricchi addobbi: trono.


HABEBALD, EILEBEUTE.

Eilebeute. Eccoci prima d’ogni altro, qui!

Habebald. Non ci ha corbo che voli sì ratto come noi.

Eilebeute. Cazzica! Qual monte di ricchezze! Donde s’ha a cominciare? Dove finire?

Habebald. N’è gremita per ogni lato la tenda! Sto in bilico dove metter prima la mano.

Eilebeute. Quello sfarzoso coltroncino sarebbe per me un vero gioiello; chè il mio canile ne sta per lo più male assai.

Habebald. Veggo qui a pendere una mazza d’acciaio; gli è gran tempo che mi struggo d’averne una cosiffatta.