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parte seconda. 441

e bizzarra. Adesso poi, va ogni cosa sossopra. (I corbi ritornano.) Di quanto operaste ne ragguaglierò io il re e signor nostro; e se volete far un colpo veramente da maestro, volate in tutta fretta all’ardente fornace là dove il popolo pigmeo batte instancabilmente il metallo e la pietra sino a levarne sprazzi di vive scintille; e chiedete loro, con belle e dolci paroline, un fuoco che splenda, sfavilli, fiammeggi, un fuoco tale quale noi cel sappiamo appena immaginare. Lampeggi di caldura in lontananza, stelle cadenti che guizzano rapide come lo sguardo, tutto ciò ne accade di scorgere ad ogni notte di estate: ma folgori che s’accendano ne’ secchi cespugli, ma stelle guizzanti sul terreno umido e molle, questo è che non riesce sì agevole a rinvenire. Suvvia, dunque, senza troppo allenarvi cominciate colle istanze, e finite per comandare. (Partono i corbi, e quanto fu detto succede appuntino.)

Mefistofele. Involgere il nemico di fitte tenebre, rendergli mal certo ogni passo, circondarlo di fuochi fatui, abbarbagliarlo con subitanei baleni, le son cose belle e buone; ma occorrerebbe inoltre levare un fragore assordante che mettesse loro in dosso una paura indiavolata.

Fausto. Le vuole armature, cavate fuori delle sale sepolcrali ove giacevano, si ringalluzzano all’aere aperto; ed è oramai un gran pezzo, che là in alto evvi uno scricchiolío d’armi percosse, un fracasso, un frastuono che mai il maggiore.

Mefistofele. A meraviglia! Non c’è più verso di contenerli: già que’ stormi cavallereschi mandano strilli in aria come al buon tempo antico. Bracciali