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mia, e domandate loro un’apparenza di acque. Esperte in ogni ragione di femminili astuzie, cui è difficil troppo indovinare, sanno elle disgregare l’apparenza dalla realtà, a segno tale da trarre in inganno chicchessia. (Pausa.)

Fausto. I nostri messi debbono aver fatto in tutta forma la corte loro alle ninfe delle acque, dappoichè laggiù cominciano sin d’ora a scorrere i flutti; e qua e colà sui massi nodi e brutti si riversa una massa d’acqua viva spumante. La vittoria degli avversari se ne va in fumo.

Mefistofele. Singolare accoglienza che lor vien fatta! i più intrepidi all’assalto la dánno a gambe.

Fausto. Già il ruscello co’ ruscelli si mesce, acque ingrossate dal fesso della rupe giù si trabalzano. Vedi or quel torrente sul quale incurvasi l’arcobaleno; dapprima si ripiega sallo spianato della rope, e gorgoglia e spumeggia da tutte parti, finchè di dirupo in dirupo, gittasi nella valle. A che pro una resistenza valorosa ed eroica? La possente e torbida piena avventasi ad inghiottirli: io stesso, io stesso dell’orrendo scompiglio provo raccapriccio e spavento.

Mefistofele. Quanto a me, di codesto rovinio d’acque non veggo pur ombra; gli occhi soli dell’uomo possono lasciarsi allucinare sì fattamente, e la strana avventura mi diverte non poco. Codeste acque rovinano giù in masse diafane e lucenti; e gl’imbecilli dannosi ad intendere d’annegarsi dal primo all’ultimo, e sbuffano a piena gola sull’asciutto terreno, e vanno attorno con lungo e spesso dimenar di braccia a guisa di notatori; vista ridicola al tutto