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438 fausto.

Osserva! Non sono senza inquietudine su questo punto: la nostra posizione è rischiosa. Rotolar di massi non veggo, il nemico s’è ingrossato al basso del picco; e intanto le alture sono sgombere affatto. Ecco un formidabile corpo dell’ostile fazione più e più avvicinarsi: ahi! forse ebbero essi forzato stretto. Qual fortuna ha quel maledetto e sacrilego vostro tentativo, lo si vede ora! Le vostre astuzie nulla han prodotto di buono. (Pausa.)

Mefistofele. Veggo venir qua i miei due corbi: che novelle avran essi da darmi? Ho forte timore che non la vada male per noi.

L’Imperatore. Che mai vogliono codesti fastidiosi uccellacci? Scappati dal calor della mischia, librano alla nostra volta le negre lor penne.

Mefistofele a’ due corbi. Traetevi a posare vicino alle mie orecchie. Quegli che prendeste a proteggere non fia perduto, grazie al saggio vostro consiglio.

Fausto all’Imperatore. Avrai certo già inteso a narrare di volatili che dalle più remote contrade movono a depor qui le uova, e a pascere, per entro a’ nidi i pulcini. Non altrimenti avvien ora; con un divario però, e ben rilevante, che il fermarsi de’ pennuti n’è indizio di pace, mentre alla guerra voglion esser corbi che la facciano da corrieri.

Mefistofele. Quanto io n’odo mi dà noia. Qual dura posizione son iti a prendere i nostri su quel dirupo? Le alture vicine veggonsi invase, e s’eglino traessero a forzare il passo, ci troveremmo ridotti a mal termine.

L’Imperatore. È dunque intesa ch’io venni da voi corbellato! Non veggomi dattorno che reti e lac-