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parte seconda. 423

Mefistofele. Il nostro caso è ben diverso. Diessi egli a scialarsela, e come! Infrattanto, il regno cadde nell’anarchia; grandi e piccoli qua e colà si mossero guerra; i fratelli si spodestavano, si sgozzavano; feudo contro feudo, città contro città; i popolani alle prese co’ nobili, il vescovo col capitolo e colla parrocchia; quanti s’incontravano, nemici; in chiesa, stoccate, assassinii; alle porte, mercadanti e viaggiatori, malmenati, e ridotti a mal termine. E in tutti la gara di soverchiarsi e di sopraffare s’accresceva a ribocco; vivere, altro non volea dire che menar le mani a difendersi. — Ma, via! le cose andavano di buon passo.

Fausto. La cosa andò, zoppico, rialzossi, cadde, e finì col fare un capitombolo, e andar tutto quanto a soqquadro.

Mefistofele. Per verità, nessuno era in diritto di menar doglienze contro un simile andazzo di cose; ciascuno ambiva di aver credito, e ne otteneva; il più abbietto uomo e da nulla davasi aria di personaggio qualificato. Intanto, per venire alla conclusione, i migliori trovarono che la demenza soperchiava; e i prodi levaronsi pieni di stizza e dissero: Sovrano è colui che ne dà calma e riposo; l’Imperatore non può darne nè vuole, — scegliamoci quindi un nuovo signore, e raddrizziamo l’Impero abbattuto; e mentr’egli ne porge a tutti la sicurtà, disposiamo la pace alla giustizia in un mondo rigenerato.

Fausto. Ecco una tirata da sagristia.

Mefistofele. Erano per appunto i sagristi che volean porre al sicuro la grossa ventraia: spiegavano essi maggiore interesse di ogni altro. La ribellione