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422 | fausto. |
di ricacciarnelo alla lontana entro a sè stesso. Poco alla volta mi son ciò fitto nel capo. Tal è il mio desiderio, osa or tu di appagarlo! (Tamburi, e musica guerriera dietro gli spettatori, di lontano, a man dritta.)
Mefistofele. Le son bagattelle! — Odi ta strepito di tamburi laggiù?
Fausto. Guerra, e non altro che guerra! essa ripugna al savio.
Mefistofele. Sia pure la guerra o la pace! Gli è da saggio l’adoperarsi a trarre partito da ogni evento. S’ha da esplorare, e tener d’occhio il momento propizio. L’occasione è pronta, o Fausto; sappi afferrarla.
Fausto. Ti so grado di cosiffatti enimmi! Alle corte, di che si tratta? Spiègati.
Mefistofele. Nel mio pellegrinaggio, nessuna cosa m’è rimasta celata. Il buon Imperatore è tratto nel più grande imbarazzo, come ti è noto. Da quel giorno in cui ci divertimmo a versare in sua mano delle false ricchezze, tutto quanto il mondo parve esser suo. Era egli giovane quando venne a toccargli il trono; e però davasi a concluderne pazzamente potersi questo accordare a meraviglia, ed essere cosa degna al tutto d’invidia, e bella oltremodo e desiderabile, godersi a un tempo il regno, e nuotare nella felicità.
Fausto. Errore massiccio! L’uomo nato a regnare dee ripetere ogni sua beatitudine dal governo, ed avere il petto di sommo volere infiammato e compreso. Quant’ei susurra all’orecchio de’ propri confidenti tosto si compie, e il mondo n’ha meraviglia. Ove ciò accada, fia egli sempre il primo fra noi e ’l più degno. — Il godimento abbrutisce.