Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/429


parte seconda. 421

dere il basso lido e le adiacenti pianure. E m’accendeva di stizza, però che l’arroganza irriti lo spirito libero che rispetta il dritto di chicchessia, sicchè divampandogli il sangue entro alle vene, risente nell’anima un tedio affannoso, mortale. Da prima l’ebbi per un accidente, e mi posi a sguardare più attento più fiso: il maroso ristava un tratto, riversavasi quindi un’altra fiata, e pieno di baldanza si rimovea dalla meta. Or ecco ch’ei torna, e sta per rinnovare l’assalto.

Mefistofele, ad spectatores. Fin qui nulla ne imparo di nuove; questo io so da oltre cento mila anni.

Fausto, proseguendo con enfasi. L’onda s’avanza strisciando, e per tutto, sterile com’ella è, mena la sterilità: la vedi gonfiare, ammontarsi, e rovesciando la sua piena i limiti della inculta sabbia trascendere. Flutti su flutti imperano quivi fin tanto ch’e’ se ne traggono senza averne fecondato pur una zolla. Ah! ecco, ecco ciò che mi dà cruccio sino a farmi disperare! Una forza sprecata dell’indomito elemento! Allora il mio spirito spiega i suoi vanni per sollevarsi sopra di sè medesimo. Là vorrei starmi lottante, là vorrei trionfare!

E ciò è fra i possibili! — Per quanto burrascosa sia l’onda, in faccia a qualsivoglia prominenza piega e si umilia. Ell’ha un bel muoversi con orgoglio, la menoma allura le sta contro con fronte superba, la minima cavità irresistibilmente l’attira. Quindi nel mio spirito piano a piano succede: aggiungere al sommo contento di rimuovere dal lido il mar prepotente, di ristringere i confini del liquido elemento,