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e là in una solitudine socievole e beatissima godermi vorrei mille mondi. Femmine, dissi, perocchè io protesto una volta per sempre, che in fatto di belle non aspiro che alla pluralità.

Fausto. Pessimo gusto d’oggidì! Il Sardanapalo!

Mefistofele. Chi può dunque indovinare la meta cui tu sospiri? Certo che la debb’essere alcun che di superlativo. Tu, che nel tuo aereo tragitto ti se’ levato sì presso alla Luna, vorresti per ventura fin colassù sollevarti?

Fausto. Neppur per sogno. V’ha ancora sopra questo globo terrestre spazio più che bastevole per compier alti nobili e singolari. Qualche cosa di grande ha da succedere; ed io sento dentro da me l’ardire che bisogna per fatti che abbiano del temerario.

Mefistofele. Tanto vale che ti struggi per la gloria? S’accorge che ti se’ fregato colle eroine.

Fausto. Voglio pormi in capo una corona, voglio uno Stato! Il concreto è tutto, la gloria è un nulla.

Mefistofele. Fa conto che ci avranno de’ poeti a tramandare a’ posteri la tua magnificenza, ad infiammare le follie colla follia.

Fausto. Tutto ciò non ti riguarda. Che sai tu degli umani desiderii? La tua fastidiosa natura, tutta fiele ed amarezza, può forse conoscere ciò che all’uom si convenga?

Mefistofele. Sia pure così! Confidami dunque fin dove si spingano le capricciose tue brame.

Fausto. L’occhio mio vagheggiava la distesa de’ mari; che, sollevati in montagne gl’impetuosi flutti, schiudeano sotto di sè orride e cupe caverne: racchetatisi poscia, mandavano le ondate ad inva-