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parte seconda. 419

Mefistofele. Non ci vuole poi molto! Quanto a me, ecco la capitale ch’io vorrei scegliermi. Nel cuore della città i fondachi de’ commestibili pei borghesi, viottoli stretti, pinacoli aguzzi, mercato sottile, cavoli, napi, cipolle; banchi da beccaio dove i mosconi s’accalcano a far grande sciupio di carni polpose. Colà rinvieni, senza fallo, al rintocco d’ogni ora, fetore ed operosità. Poi, vaste piazze, strade spaziose, per darsi una cert’aria di grandezza; da ultimo, dove non è più alcuna porta a chiudere lo spazio, sobborghi a vista d’occhio. Non poco spasso darebbemi colà il romoreggiare de’ carri, l’urtarsi della folla che viene e va, il moto incessante e confuso di codesto sparpagliato formicolaio, e sempre, sia a cavallo, sia in vettura, sare’io il punto centrale, riverito ed onorato dalle miriadi.

Fausto. Ciò non saprebbe appagarmi punto nè poco! Bel gusto invero vedere un popolo moltiplicarsi, vivere a modo suo nelle agiatezze, formarsi ed istruirsi, — e crescere intanto una man di ribelli!

Mefistofele. Poscia mi fabbricherei, in uno stile che avesse del grande — conforme al mio grado — in luogo ameno, un castello per andarvi a diporto, con boschi, poggetti, pianure, e prati e campi messi a giardino con lusso e magnificenza. E lungo lo smalto de’ muri verdeggianti, bei sentieri allineati, e rezzo ad arte condotto, e cascatelle d’acqua viva giù cadenti di poggio in poggio, e zampilli d’ogni ragione. Più oltre, un getto magnifico va in aria con impeto, e intorno intorno gorgoglii in buon dato e garriti e susurri. Dopo ciò, per le femmine, per le graziose femminucce, farei costrurre casini agiati e maestosi;