Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/425


parte seconda. 417

presa la loro dottrina che abbia a sublimarsi quanto è basso, e quanto è in alto adimarsi;1 perocchè noi passammo allora dalla soffocante schiavitù dell’abisso all’assoluta sovranità dell’aere libero ed aperto, mistero evidente, e con tanta gelosia custodito, che non fu a’ popoli rivelato se non molto tardi.2

Fausto. Per me la mole de’ monti mantiensi in nobile silenzio, non cerco nè il come nè il perchè. Quando la Natura informossi da per sè, ritondò senza più il globo terrestre, e qui si piacque di ergere un picco, e là di scavare un abisso, e d’appoggiare rocca a rocca, monte a monte; poscia ordinava le agevoli colline digradanti con dolce pendio fin nelle valli. Colà tutto è verzora e vegetazione, e a dimostrasi paga e contenta non ha certo mestieri di sobbalzare come un forsennato.

Mefistofele. Ciò tu credi! e ti par chiaro come la luce del Sole; ma chi fu presente al gran fatto la ragiona ben altrimenti. Io era là per appunto, quando sin dal fondo il bollente baratro, schizzando fiamme,

  1. Deesi scorgere in codeste parole di Mefistofele un’ironica allusione alle teorie de nuovi geologi, per esempio L. di Burch, e di tutti coloro che secolui professano il sistema della elevazione del suolo oceanico in montagne, sistema di cui Goethe, partigiano giurato del Nettunnismo di Werner, non poteva ammettere le pretese. Vedasi nelle sue Confessioni Geognosiche sino a qual punto l’autore del Fausto era attaccato alle idee di Werner, ch’egli divise con lui fino agli ultimi anni, dopo visitati i massi granitici dell’Hartz, de’ boschi della Turingia, del Fichtelgebirg, della Boemia, della Svizzera e della Savoia, non volendo, diceva egli, abiurare un sistema ch’ei teneva come vero, a per amore di una teoria, la quale, surta da opposti principii, pon s’appoggiava che «rivoluzioni e fenomeni accidentali.» Ricordiamoci in tale proposito il Seismos della notte di Valburga, ch’ei pone in faccia a forze granitiche primitive, e lo confuta per bocca d’Orèo, greppo della natura.
  2. Efes., VI, 12.