Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/424

416 fausto.


Una Botta di sette leghe sgambetta, un’altra le tiene dietro. MEFISTOFELE salta dalla Botta in terra. Gli animali lesti lesti si allontanano.

Mefistofele. In fede mia, questo si ha a dire camminare! Ma, che ghiribizzo or ti piglia? Tu ti sprofondi in questi capi orrori, in quest’abisso petroso, spalancato. Palmo a palmo conosco il terreno, avvegnachè non istia al suo posto; chè, se ho a dire il vero, era questo il centro più basso e profondo dell’Inferno.

Fausto. Quand’è che la farai finita con queste tue diavolerie? Eccoti da capo a spacciare leggende strane e facete.

Mefistofele, con tuono serio e grave. Allorchè Dio, il Signore — so bene io il perchè — ne cacciava dalle regioni aeree fin ne’ profondi abissi, là dove in mezzo ad un’ardente fornace la fiamma eterna iva consumandosi da sè, ci trovammo in un chiaror troppo vivo, calcati gli uni sugli altri, e in positura assai scomoda. Cominciarono allora i diavoli a tossire dal primo all’ultimo, e a starnutire dall’alto al basso: nè andò molto che la bolgia infernale empièssi di puzzo e di acidi solforosi. Quali esalazioni! la era cosa da non farsene idea! Di che in breve la crosta unita della terra, avvegnachè spessa e dura, ebbe a scoppiarne con grande fracasso. D’allora in poi tutto andò capovolto; e ciò che un tempo era all’imo, forma oggidi la sommità. Fu da qui ch’ebbero certoni