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414 fausto.


ATTO QUARTO.




ALTA MONTAGNA,


Vertici di rupi scagliose, enormi; passa una nube, s’appoggia, e cala giù sur un olmo sporgente: da ultimo si dirada.


FAUSTO esce dalla nebbia.1

     Mentre negl’imi abissi intento e fiso
     Lo sguardo accentro, e solitario movo
     Di quest’erte giogaie in su le brulle
     Cime, per l’äer vano si dilunga
     Il carro or’io fra terra e ciel sospeso
     E da’ venti qua e là n’andai con leve
     Urto sospinto, innanzi che alla para
     Luce qui trarmi; — ei va, ma non per questo
     In polve o in nebbia si discioglie e sfuma.
     Ad Orïente è il suo cammino, e tarde
     Volve le ruole, si che lunga tratta
     Lui seguir può l’attonita pupilla.
     Oh prodigio! oh stupor! Sovra dorati

  1. Fausto mette piede a terra sul vertice di un’alta montagna; e la meravigliosa nube, dopo depostolo colà, se ne torna da Oriente. Egli cogli occhi smarriti nell’infinito, segue la massa vaporosa, e per l’ultima volta contempla dentro a quella i tipi eterni del bello ond’è l’anima sua posseduta. Questo è il punto della tragedia, in cui il protagonista, toltosi al fascino dell’antichità, passa ad altre sfere più attive; e qui è che imprese Goethe nel maggio del 1817 a rannodare le fila da lungo interrotte delle sue idee, e si rimise all’opera «mercè la simpatica ispirazione de’ buoni Spiriti.» (Goethe, an Zelter, T. IV, S. 318.)