Sveglie, rimonda, addossa e lega, miti
Gli Dei pregando a sue fatiche e ’l Sole.
Ma di sì forte amor l’effeminato
Bacco e de’ voti suoi meno corante,
Nelle siepi si cela, o nel secreto
Di opache grotte ove in trastulli mena
L’ore col giovin suo Fauno amoroso.
Ogni gioia, ogni cura, ogni diletto,
E tutte care visioni in fondo
Covan pel Nume di ben cento e mille
Urne capaci vagamente a cerchio
Della sua chiostra gelida riposte.
Tutti gli Dei frattanto, e primo il Sole,
D’äer, di piova e d’infocati raggi
Dolce stemprano umor dentro a’ racemi.
Quanto la man del vignaiuolo industre
Poteva un giorno, svegliasi repente,
E si scote, e s’avviva: un insüeto
Giù pe’ filari fremito trascorre;
E qua e colà di mille gridi un grido
Fuor de commossi pampini si spande.
Gemon le corbe, il secchio stride, e delle
Uve ammontate solto il grave pondo
Le bigonce si sfondano. Robusti
Garzoni poscia vêr l’immensa tina
Frettevoli si traggono, col piede
I vendemmiati grappoli pigiando,
Mentre il licore porporin compresso
Goccia, spuma, gorgoglia, e i cori adempie
Di dolcezza e piacer. Attendi or quale
Di crotali e di fistole d’intorno
Alto, incessante strepito si desti.