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406 fausto.

Euforione. Degg’io forse vederla da lungi? — No, no! mi tocca dividere — l’ansietà, ed il rischio.

I Precedenti. Furore e periglio! — Fatale destino!

Euforione. Ma due ali — spiegansi al volo! — Laggiù! laggiù!... Io m’affretto laggiù. — Lasciate ch’io parta una volta! (Lanciasi nello spazio: le sue vestimenta lo portano un tratto svolazzando; raggiante ha il capo; una striscia di fuoco splende sulla sua traccia.)

Il Coro. Icaro! Icaro! Non più nuove sciagure, non più! (Un leggiadro garzone precipita appiè di Elena e di Fausto; il suo volto mostra fattezze conosciute;1 poco stante il corpo svanisce per aria, e l’aureola s’innalza pari ad una cometa verso il cielo, non rimanendo sul terreno che la tunica, il mantello e la lira.)

Elena e Fausto. Al tripudio tosto succede affanno straziante, mortale.

Euforione, voce che vien di sotterra. Oh madre! ne’ regni del buio consentirai tu ch’io mi resti solo? (Pausa.)

IL CORO. Canto funebre.

Solo? ah no! — in qualunque luogo tu giaccia, perocchè ne pare di conoscerti, Ahi lasso! se tu diserti

  1. Riuscirà agevole il cogliere l’allusione dell’episodio d’Euforione. In faccia a codesto ardore precoce cui nulla può contenere, a codesta indole in balia alla cupidigia della conquista, al genio che si consuma un istante nella stretta infocata d’una fanciulla, poi s’erge, e sfavilla, astro di poesia, nel più alto de’ cieli e va da ultimo a cadere sur un campo di battaglia nel Peloponneso, il lettore indovina che a Byron, cantore di Aroldo e di Manfredo, si riferisce codesta poetica digressione; e quando pure non si fosse Goethe dato il pensiero di spiegarnelo chiaramente, canto funebre che vien dopo basterebbe a togliere ogni dubbiezza su questo particolare.