Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/412

404 fausto.

e flutti da lunge; — sarebbemi a grado farmi loro da presso. (Sbalza sempre più in alto, lungo la rupe.)

Elena, Fausto ed il Coro. Vuoi dunque tu farla da camoscio? — La tua caduta ne dà spavento.

Euforione. Ognor più in su deggio levarmi — più lunge ognora deggio vedere. — Almanco adesso ravviso ov’io sono! — Il mezzo è questo dell’isola, il mezzo — del paese di Pelope, che abbraccia — la terra insieme ed il mare.

Il Coro. Se al bosco, sui monti — non puoi star un attimo in pace, — moviamo in cerca a quest’ora — de’ verdi pampinosi filari, — de’ pampini sui poggi, — degli aranci, de’ fichi. — Deh! almeno in così amena contrada, — ti mostra queto ed amabile.

Euforione. Sognate voi i be’ giorni di pace? S’abbandoni a’ sogni chi può! – Guerra è la parola d’ordine! Vittoria! è la canzone.

Il Coro. Colui che in pace — sospira alla guerra — rinunciò per sempre — al bene della speranza.

Euforione. Questo suolo ne crebbe più d’uno nel rischio, fuori del rischio — d’un ardire sbrigliato, e illuminato, — prodigo del proprio sangue, — d’un intelletto di tempera divina — inaccessibile alle tenebre; — quanti hanno a combattere — prendano consiglio da costoro!

Il Coro. Mirate, lassù s’innalza — senza che ne paia impicciolirsi, — tutto in arme, presto alla vittoria, — luccicante di bronzo e d’acciaio!

Euforione. Non di mari, nè di bastioni, — sì veramente ciascuno di sè stesso facciasi schermo! Il ferreo petto dell’uomo è rocca affatto inespugnabile.

Volete voi riescire invincibili? — armatevi alla