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suoni lasinghieri, — noi di fresco ritemperate — ci sentiamo commosse fino alle lagrime.

Il vivo raggio del Sole può venir meno — tosto che dentro dall’anima albeggia. — In fondo a’ nostri cuori rinviensi — quanto non è capace di dare l’intero universo.

Elena, Fausto, Euforione1 è raffazzonato secondo la Forcide ebbe esposto più sopra.

Euforione. Al primo udire le mie canzonette infantili ne fate voi tosto le vostre delizie; veggendomi in cadenza, — le paterne vostre viscere ne esultano.

Elena. L’amore, in quanto gli è un bene terrestre — l’amore congiunge una coppia gentile; — ma in quanto gli è divino tripudio, — informa una triade ben augurata e felice.

Fausto. Oggimai s’è trovato tutto. — Io son tuo, e tu se’ mia. Quindi viene che noi siamo vincolati. — Nè saprebb’essere altrimenti!

  1. Questo Euforione nascendo aveva le ali; Giove se ne invaghì, e siccome il leggiadro garzonetto involavasi dalle sfrenate voglie dell’Olimpico, questi lo ebbe fulminato e gittatolo nell’isola di Melos (oggidì Milo), una delle Cicladi. Le Ninfe che si presero pensiero di seppellirlo furono cangiate in rane. (Tolom. Ef. IV, p. 317.) Tale è il mito col quale Goethe chiude l’intermezzo antico della sua tragedia. Euforione è manifesto essere il simbolo della moderna poesia. Figliuolo di Elena, la bellezza greca, la bellezza per eccellenza, e di Fausto, il Fausto alemanno, l’energia e la profondità scientifica di questo popolo, qual rappresentante più nobile di questo avrebbe potuto avere la nuova poesia? Del resto, qui tutto viene a capello, e la fantasia del poeta nonvi ha intoppo. Costui in fatti, parto degli amori postumi di Elena e di Achille, creatura ideale e in realtà non esistente, vien tratto senza sforzo alcuno sulla scena. Il suo carattere istesso, in quanto allegoria, vi trova il più alto concetto; però che se egli balza mai sempre dal seno di Elena, ha questa fiata per genitore Fausto invece di Achille, la forza dello spirito, la intelligenza, la grandezza morale a dir breve, invece del bello fisico.