Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/407


parte seconda. 399

entro a una polita zana, e ne lo stringe dal capo a’ piedi con fasce di lini preziosi. Se non che il furbacchiotto, dilicato insieme e gagliardo, sprigiona di cheto con assai accorgimento le membra pieghevoli e destre, e lascia in sua vece quel viluppo di porpora che tenealo captivo, sembiante in ciò al bozzolo che trasformato appena in farfalla, spogliandosi dell’ignobile crisalide, gode di agitare i bei vanni per gli spazi dell’aere inondati dal Sole.

Egli così, agile più d’ogni altro, dimostra fin d’ora co’ tratti perfidi e maliziosi, come sia per divenire il patrono de’ ladri, de’ truffatori, e di quanti sono o saranno gli avventurieri. Quindi sottrae con destrezza a Nettuno il tridente, a Marte il giavellotto, l’arco e le frecce ad Apollo, le molle a Vulcano: e involerebbe perfino a Giove la folgore, se non l’impaurisse il fuoco. Ei lotta con Amore e lo atterra; rapisce il cinto a Ciprigna in quella che ne lo sta accarezzando. (Un tintinnire d’arpe dolce e melodioso sale dal fondo della grotta; il Coro tutto sta in orecchi, e mostrasi tantosto sommamente commosso. Da questo punto fin là dov’è segnata la pausa, continua la sinfonia.)

La Forcide. Udite i suoni graziosi, sbrigatevi senza meno dalle vostre favole; la vieta razza de’ vostri numi, rassegnatela all’obblio; essa già non è più.

Non v’ha oramai pur ano che voglia darvi retta: moneta vuolsi di maggiore valsente: è giocoforza che fuor esca dal cuore quanto ha da agire sui cuori. (Si ritrae verso le rôcche.)

Il Coro. Se tu, creatura schifosa — cedi a que’