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parte seconda. | 395 |
così questo s’allieta com’altri ed altri; ciascuno è immortale al suo posto; eglino sono beati e pieni di vita!
Per siffatta guisa, sotto un cielo ognor puro e sereno, s’avvia l’amabile fanciullezza verso la virilità ardita e gagliarda; e da tutte parti levasi una voce di meraviglia a dimandare: Son essi Dei, od uomini cotestoro?
Apollo non altrimenti si vide pastor fra’ pastori; e quale infra questi era più rubicondo e leggiadro, meglio al Dio rassomigliava: chè là dove in tutta la sua schiettezza opera la natura, i mondi quanti ve n’ha si stringono e si dan mano. (Va a sedersi da canto ad Elena.)
E così noi fummo dalla ventura congiunti: però mettasi in dimenticanza il passato; oh! ravvisa in te la figliuola della Divinità, e pensa che appartieni al mondo primitivo.
No, te non vedranno prigioniera codeste mura; v’ha ancora per noi un soggiorno di beatitudine, un’altra Arcadia rigogliosa in perpetuo e fiorente, nė gran fatto da Sparta discosta.
Attirata da un suolo avventurato cotanto, ricovrerai colà in braccio al destino più sereno e tranquillo: ivi ti fieno troni superbi i fronzuti boschetti; e là come in Arcadia liberi ci godremo e felici! (Mutasi la scena. Lunga prospettiva di grotte da spesso fogliame ombreggiate e coperte; folte boscaglie che si stendono fin sulla cima delle rupi ergentisi all’intorno. Fausto ed Elena più non si vedono. Il Coro dorme sdraialo qua e là.)
La Forcide. Quant’è che codeste donzelle sono