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394 fausto.

Codesta contrada, fisa in te sola, ti porge i suoi più ricchi presenti. Ah! sia da te anteposta la patria ai regni che ti appartengono!

Fa che un freddo raggio di Sole schiari appena l’aspra vetta del monte, fa che un sol filo d’erba si apra la via tra le rocce, e vedrai tosto l’ingorda camozza inerpicarvisi in cerca di quella misera pastura.

La sorgiva zampilla, e i ruscelli divallano frangendosi in cascatelle. Oggimai i borroni, i declivi ed i prati verdeggiano; e lungo la pianura interrotta qua e colà da cento poggetti, puoi mirare sparpagliate le gregge di bella e morbida lana coperte.

L’un dall’altro disgiunti, circospetti, e con passo lento e misurato, vanno i cornuti tori fin sull’orlo ai dirapi; colà un asilo è preparato a chicchessia, che in mille caverne vedesi scavata e fessa la rupe.

E Pane le protegge, e le Ninfe della vita abitano fra gli spazi freschi e dal lume protetti di que’ chiomati crepacci; e levandosi verso le sublimi regioni, ogni albero di contro agli altri stende e allarga i suoi rami.

O foreste antiche! Ergesi la quercia a tutta possa, e i rami nodosi intrecciansi a’ rami capricciosamente, e l’acero svelto e leggero, pieno di dolce succo, levasi in alto superbo, e scherza co’ venti.

E nell’ombra tacita cola dalle poppe della madre un latte tiepido e saporoso onde se n’alimenti il bambolo e l’agnellino. Son poco lunge le frutta, cibo grato e soave della pianura, e fuor de’ cavi tronchi va stillando il mele.

Il vivere gaio e contento è costì ereditario, e