Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/401


parte seconda. 393

sono a contendergliela colle piacenterie, i rapitori colla violenza; guardisi egli adesso dagli uni e dagli altri!

Così noi cantiamo al nostro principe, lui senza pari estimando, lui che seppe cingersi di alleati così forti e imponenti, che gli stessi potentati attendono rispettosi i suoi cenni; e gli eseguiscono fedelmente e con loro gran pro; chè non solo ne hanno la riconoscenza, ma nella gloria di lui entrano a parte.

Imperocchè chi oserebbe fraudarne un padrone di tanta possa? Essa gli appartiene, e noi di buon grado gliela consentiamo; confessando doversi doppiamente a colui il quale valse a porre sè e la sua bella in salvo, difeso internamente da alti e spessi bastioni, e al di fuori mercè una formidabile armata.

Fausto. I beni di cui fummo larghi con essi una ricca provincia per ciascuno sono, parmi, sontuosi e magnifici. Partano dunque, e noi al centro rimarremo de’ nostri stati.

Ed eglino li proteggono a gara, o penisola cui baciano i flutti da ogni parte, e vai per una svelta catena di colline digradanti, agli ultimi rami granitici d’Europa, congiunta!

Oh sieno codeste contrade, che sovra tutte hanno il primato, sieno, dico, in perpetuo avventurate per ciascun popolo, contrade il cui dominio ebbe testè la mia regina, che l’hanno al nascere contemplata.

In quell’ora, che dentro ai canneli dell’Eurota usciva ella sfolgorante di bellezza dall’uovo di Leda, abbagliando col vivo suo lume la nobile madre e i fratelli!