Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/398

390 fausto.

Troia, e le vaganti nostre avventure. Le femmine use ad essere dagli uomini corteggiate, pigliano quale si affaccia hanno però buon discernimento; e come a’ biondi pastorelli, così a’ fauni di colore abbronzato e di crespo vello, a tempo e luogo, consentono senza riserbo un eguale diritto sulle membra loro palpitanti. Come poi sieno uniti, più e più si raccostano, e l’uno all’altro poggiati omero ad omero, mano a mano, ginocchio a ginocchio vanno commovendosi nello splendor molle del trono. Nè la maestà loro fa che si trattengano dal manifestare in cospetto della moltitudine l’arditezza delle segrete lor gioie.

Elena. Sento ch’io son così lungi, e pure mi veggo stare così presso, e non fo che dire con tutta l’anima: Sì, oh sì, ch’io sto qui veramente.

Fausto. Respiro appena; la mia voce esce tremula e titubante; gli è sogno il mio: tempo e luogo disparvero!

Elena. Egli mi pare d’aver vissuto, e di rivivere in questo punto, immedesimata con te, e fedele a chi pria non conobbi.

Fausto. Non ridurre all’analisi un destino unico al mondo: l’esistenza sta nel vedere, fosse pure per un istante e non più.

La Forcide, entra a passi precipitosi. Voi compitate nell’alfabeto dell’amore, sfiorate i sentimenti, e vi perdete in codeste fanciullaggini: ma non è ora da ciò. Non sentite dunque l’uragano appressarsi? Non vi rintrona gli orecchi lo squillar delle trombe? La rovina vostra è imminente. Ecco, ecco Menelao in mezzo ad immensa turba di popolo: ap-