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parte seconda. 389

ma una voce feriva l’orecchio, che un’altra le tenea dietro a blandirlo.1

Fausto. Se grato già tanto riesce per te l’idioma de’ nostri popoli, oh! il loro canto varrebbe certo a sedurti, e a rapire il tuo orecchio, e l’anima tua con diletto mille volte più grande. E per viemmeglio convincertene, facciamne pur ora la prova; il dialogo attira cosiffatte cadenze, e le provoca:

Elena. Quel grato favellar come far mio?

Fausto. Farai pago il desio, — se a mezzo il core

     S’informi l’armonía; quando nel petto
     Si desta arcano un sentimento, un moto,
     Allor la mente a rintracciar si guida...

Elena. Chi le gioie, i piacer con noi divida.

Fausto. Passato ed avvenir! Tutto, un istante

     Comprenda, questo che in parlar mi fugge....

Elena. E d’estasi beata il cor ne strugge!

Fausto. Tesoro, gioia n’è il presente, e certa

     Felicitade; ma la man qual fia
     Che m’assecuri un tanto ben?
Elena. La mia.

Il Coro. Chi oserebbe dar biasimo alla nostra principessa, s’ella cortese e amabile si dimostra verso il padrone del castello? Però che sia da confessare essere noi prigioniere pur sempre siccome non cessammo di esserlo dopo la caduta fatale di

  1. La rima, sconosciuta alla greca poesia, meravigliosa gemma del settentrione, di che il bello classico porta invidia al romanticismo che se ne fregia quasi scherzando. Elena dimanda il segreto di quel parlare ineffabile. «Esso, Fausto risponde, sta senza meno nel cuore» e per compiacere all’amata regina, avvia secolei un dialogo al modo novello. Fausto incomincia, ed Elena replica, congiungendo al pensiero la rima.