Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/396

388 fausto.

una parte è superfluo ed inutile. Va! ammonta tesoro su tesoro con bella simmetria! Fanne concepire una idea sublime di magnificenza inaudita; scintillino le volte siccome il puro firmamento! Disponi un paradiso di vita inanimata! stendi dinanzi a lei tappeti tempestati di fiori! offra a’ suoi piedi un molle strato la terra le s’immerga lo sguardo in così vivi splendori che i soli Dei non facciano abbarbagliare!

Linceo. Quanto m’ordina il padrone gli è poca cosa; e il servo a un batter d’occhi la compie. Ma chi dispone a grado suo delle nostre facoltà, e del sangue che ne scorre entro alle vene, la è codesta imponente bellezza. Già l’armata n’è doma; e lance e giavellotti arrugginiscono: appetto alla sublime sembianza, il Sole stesso smorto e freddo addiviene; in confronto colla ricchezza di quel volto, ogni ricchezza al mondo è fango e nulla. (Exit.)

Elena a Fausto. Io vo’ parlarti; e però vieni, ascendi quassù accanto a me! Questo posto vuoto dimanda il padrone, e mi fa certa del mio.

Fausto. Lascia prima, o donna sublime, che ai piè mi ti prostri, e degnati accettare i miei fedeli omaggi: nė ricusarmi ch’io possa un bacio stampare su quella destra che a le presso m’innalza. Entra meco a parte del governo dello sterminato tuo regno; ed abbiti così in un sol uomo, l’amante, il servo, il guardiano.

Elena. Quanto veggo, quanto ascolto, tutto è prodigio. Lo stupore mi sorprende, le quistioni s’incalzano: ma, anzi tutto, spiegami ciò: ond’avviene che le parole di colui mi parvero inusitate e dolci cotanto? Il suono si disposava al suono; e non pri-