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ginocchi, — ch’io la contempli, — lasciami morire, vivere chè omai son tutto, anima e corpo, di questa donna da’ cieli discesa.

Aspettava io il chiaror mattinale; spiava dall’oriente lo spuntar dell’alba, quand’ecco, oh prodigio! veggomi di tratto raggiare il Sole sorgente dal mezzodì.

Mi volsi tosto da quella parte per affissarmi in costei, nulla più corando nè di valli nè di montagne, nè di quanti sono gli spazi in fra la terra ed il cielo. Ho, gli è vero, gli occhi di lince in agguato sulla cima di una pianta; ma in tal punto mi convenne lottare a gran forza per uscire da una visione profonda.

Come poter’io me in me riconoscere? E piattaforma, e torre, e porta sbarrata, e vaganti vapori, tutto, tutto dileguasi, e sola questa Dea mi sta salda dinanzi!

Colla pupilla e col cuore rapiti in essalei, io aspirava per le nari e per la bocca il dolce anelito di lei: questa sfolgorante bellezza beava ogni minima fibra di me povero e sciagurato!

Così il debito del guardiano, e il corno, e i fatti giuramenti, mi venne posta in dimenticanza ogni cosa! Or va, minaccia pure di annientarmi; la beltà doma qual sia impeto di furore.

Elena. Al male ch’io feci non saprei assegnare un castigo. Misera a me! Qual destino fatale mi persegue, ch’io porto ovunque lo scompiglio infra gli uomini, sino a far ch’e’ non tengano più verun conto nè di sè nè di nulla al mondo! Per via di rapimenti, di seduzioni, di guerre i semidei, gli eroi,