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parte seconda. 379

piè leggero — colla morte alle spalle — e a noi dinanzi — le inaccessibili mura del castello; — ch’esso ne protegga come un tempo la rocca d’Ilione — che fu tratta a soccombere — dalla sola infamia di un tradimento! (Fitte nubi si dilatano a dritta e a sinistra, velano il fondo, e occupano di tratto il proscenio.) Or donde ciò? — Sguardate, o suore, all’intorno! — L’orizzonte non era egli sereno? — S’accavallano le nubi, — uscite dall’onda sacra dell’Eurota. — Già ne vien tolta al guardo — la deliziosa riva da’ canneti ricinta; — e i cigni altresì, i cigni — liberi, alteri, graziosi, — che scorrono mollemente insieme — drappelli a fior d’acqua pieni d’amore ahimė! gli stessi cigni sonci spariti!

Pur pure — io gli odo ancora, — odo il rauco cantare da lungi; — essi annunciano la morte! — Ahi! purchè a noi del pari — ohimè! non la intuonino, — invece della promessaci salute, a noi candide sorelle de’ cigni, — dal collo di neve, pieghevole, — come, oh sciagura! alla figliuola del cigno. — Guai a noi! guai!

Le tenebre hanno già invaso — tutto quanto lo spazio. — Gli è un gran fatto se l’una l’altra discerne. — Che è? Andiamo ora noi? — Discorriamo noi con rapido passo? — Scopri tu nulla sulla terra? — Sarebbe mai Hermes quegli che ne precede? — Non vedi tu luccicare lo scettro suo d’oro? vedilo per segni ordinarci di rientrare in seno alle Iadi, stanza trista e buia ove si trovano — fantasimi impalpabili — luoghi ognor pieni, comecchè sieno vuoti pur sempre!

Ecco l’aere oscurarsi di tratto, e il vapor denso