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parte seconda. 377

vano, ciascuno sul proprio palvese, scolpite delle figure, e tutte simboliche. Là scorgevi la Luna e le stelle sur un cielo notturno, e dive oltracciò, eroi, scale, faci e giavellotti, e tutto che vale a minacciare una rocca munita. Fin dalle età più remote, porta la nostra gente immagini simili a queste, espresse co’ più vivi colori; e lioni ed aquile, e artigli e sanne; arrogi, corna di loro, ali, rose, roste di penne di pavone; inoltre delle zone d’oro o di argento, e rosse e nere ed azzurre. Ora cosiffatti simboli pendono l’un dopo l’altro nei saloni, vasti quanto il mondo! Là entro potreste voi danzare a bell’agio!

Il Coro. Or dinne, sonci par là de’ ballerini?

La Forcide. E quanto graziosi e leggiadri! Drappelli con roseo volto, con aurei capegli inanellati, che proprio olezzano di gioventù. Paride soltanto era così frescoccio ed amabile ne’ di quando si trasse troppo accosto alla regina.

Elena. To vai fuor del tuo tema: udiamo l’ultima parola.

La Forcide. Tocca a te il proferirla: pronuncia solennemente un sì chiaro e manifesto, e farò in modo che un tal castello li circondi all’istante.

Il Coro. Oh! facciasi una volta udire quel breve motto, che a te ed a noi apporti salute!

Elena. Come mai dovrò io temere che il re Menelao mostrisi così snaturato, da patire ch’io soffra?

La Forcide. Ti passò dunque di mente com’abbia mutilato il suo Deifobo, il fratello di Paride, ucciso combattendo; Deifobo, che te, vedova, dopo sì lunghe prove, ottenne, ed ebbe la ventura di averti a sua sposa? Ei n’ebbe mozzo il naso, e mozzi pure