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egli prendersi tutto, e fa pago di soli pochi e lievi presenti, a’ quali diè nome di tributo.

Elena. E qual è costui?

La Forcide. Non c’è male, per quello almeno ch’io ne penso. Gli è un uomo vivace, ardito, ben complesso, di non poca prudenza, tale, a dir corto, che ben rari sono in Grecia que’ che gli rassomiglino. Vien tenuto quel popolo in conto di barbaro; ma io porto opinione che non ne troveresti pur uno il quale in crudeltà pareggiasse tale un eroe il quale fu veduto condursi da antropofago sotto le mura d’Ilione. Io conto sulla grandezza d’animo di lui, e me gli son data in balía. E’l suo castello! Chi può vederlo, e non se ne stupire? Gli è tutt’altro che i bastioni massicci costrutti alla impazzata da’ padri vostri, bastioni propriamente ciclopici, che è come a dire macigni su macigni scabri ed informi. Allo ’ncontro colà tutto è fatto ad arte e simmetrico. Vedetene la facciata, come spiccasi inverso il cielo, ritta ed a squadra, con tanta solidezza costrutta, lustra come l’acciaio! Chi la strana idea concepisse d’inerpicarvisi sopra, prima ancora di cimentarsi andrebbe preso da vertigine. Nell’interno poi, ampi cortili, con all’intorno ogni ragione di opere architettoniche, per qualsivoglia uso; colonne, colonnini, volte, archi acati, poggiuoli e gallerie donde scopresi ad una fiata l’interno e l’esterno della fabbrica, — non che i blasoni.

Il Coro. Che s’intende per questi blasoni?

La Forcide. Portava Aiace, secondo avrete potuto voi medesime vedere, portava in sullo scudo de’ serpi attorcigliati. I sette dinanzi a Tebe, mostra-