Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/382

374 fausto.

e sottile, anco talvolta l’impossibile si rivela: — parla, di ciò che ne pensi.

Il Coro. Sì! sì! parla, e dinne senza dimora come potremmo schermirci da questi orrendi capestri che già già ne serrano la gola, collari infaustissimi e fatali. Oh! noi tapine! ecco ne manca il respiro, e innanzi tempo ci muoiam soffocate, ove tu, augusta madre di tutti gli Dei, o Rea! non pigli commiserazione del fatale nostro destino.

La Forcide. Vi sentireste voi di avere tanto di sofferenza da sentire in silenzio a svolgersi la tela di un ragionamento lunghetto anzi che no? Avvi più d’un’istoria da raccontare.

Il Coro. Sì! sì! useremo pazienza! Standoci in ascolto, vivremo.

La Forcide. Per chi, rimastosi in casa, dàssi a custodire il ricco tesoro, mura e assoda viem meglio gli erti bastioni dove si chiude, e il tetto assicura contro le bufere, per costui ogni cosa riuscirà a bene fin che gli basti la vita: ma chi varca improvvido e spensierato con piè fuggitivo la sacra soglia della magione, troverà bene al ritorno le sale antiche, ma tutto cangiato per entro, se non forse distrutto.

Elena. Dove mai vanno esse a parare codeste conosciute sentenze? Poi che dicevi di voler raccontare, non accrescere le mie pene con amare memorie.

La Forcide. Quanto io dico la è pura storia: tutt’altro che di rimproveri suonano le mie parole. — Menelao, corse da vero pirata di golfo in golfo; e artigliando ogni cosa, isole e piagge, tornò carico del bottino in questo palagio accumulato. Dieci lun-