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parte seconda. 371

Taci olà! non far motto! chè lo spirito della regina, presso a fuggirsene, torna indietro, e n’è ancora conservata la più leggiadra creatura che abbia mai il Sole schiarato! (Elena va risensando, e si rifà in piedi in mezzo al Coro.)

La Forcide. Esci da’ lievi vapori, o splendido Sole di questo giorno, tu già si incantevole sebbene velato, e regna adesso nella sfolgorante tua gloria! Sguarda tranquillo e sereno quanto il mondo si dilata a’ tuoi occhi! Costoro han bel nominarmi la Schifosità, ch’io m’intendo quanto basta di Bellezza.

Elena. Mi traggo fuori vacillante dal vuoto ond’era nella vertigine attorniata; e grato mi fora oltremodo dare un’altra fiata in braccio al riposo queste membra così lasse e affralite: se non che debbono le regine, e quanti son uomini, ingagliardirsi e riprender animo, qualunque sieno i casi da’ quali si veggano combattuti e sorpresi.

La Forcide. Tu ci stai dinanzi nella tua piena maestà e bellezza: il tuo sguardo ne dice che hai fatto un comando; che imponi tu? Parla.

Elena. Vo’ che si racquisti il tempo perduto in isfacciate contese, e che senza indugio si compia il sacrificio prescritto dal re.

La Forcide. Ogni cosa è qui dentro apparecchiata: la tazza, il tripode, il coltello tagliente; l’acqua lustrale, l’incenso e tutto il resto è all’ordine: mostraci ora la vittima.

Elena. Non me l’ebbe il re indicata.

La Forcide. Non te l’ha delto? Oh! che pena!

Elena. Quale affanno ti stringe il cuore in tal punto?