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tendevano essi con assai gentilezza; tuttavia davan segno di non essere ancora tutti all’ordine. Codesti impareggiabili vogliono ire sempre più in là; poveri sciagurati, struggentisi continuo per ismania di riescire inesplicabili.1

Le Sirene. Noi siamo use a pregare da per tutto ove ha trono il Divino, nel Sole così come nella Luna: e’ c’è il tornaconto.2

Le Nereidi e i Tritoni. Quanto splendore è per accrescere alla nostra fama la festa che di presente celebriamo!

Le Sirene. Una cotal gloria manca agli stessi campioni dell’antichità, tutto che vadan essi così boriosi.

S’eglino furono i conquistatori del Vello d’Oro, voi avete fatta conquista de’ Cabiri.

  (A ritornello, come fosse una vecchia canzone.)3
               Se l’aureo Tosone
               Hann’essi predato,
               E noi de’ Cabiri
               Abbiam trionfato.

(Le Nereidi e i Tritoni si allontanano.)

    niuno ancor pose mente» sarebbe l’ottavo pianeta scoperto da Herschel.

  1. «Est quædam, ut Hermanni verbis utar, etiam nesciendi ars et scientia; nam si turpe est nescire quæ possunt sciri, non minus turpe est scire se putare quæ sciri pequeunt.» Aglaophamus, p. 1110, Vol. II. Goethe ebbe già riprodotto, in un’altra sua opera, codesto pensiero d’Hermann, di cui le Nereidi fanno qui cenno per ironia.
  2. Le Sirene, egoismo della natura, scagliavansi dianzi contro a’ culti di qualsivoglia divinità pe’ fastidi che se n’avevano; ed ora vanno encomiandoli pe’ vantaggi che se ne traggono.
  3. Mentre le Nereidi, portando seco i Cabiri, si allontanano dalla riva dove soggiornano la Sirene, le cantatrici marine intuonano a pieno coro un canto solenne, sperando che gli Dei buzzoni di Samotracia abbiano a grado il loro omaggio.