Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/345


parte seconda. 337

ziosa divinità, sii tu propizia vêr noi nel tuo servizio sollecite e premurose!

Nereidi e Triloni in forma di mostri marini. Echeggi tutta quanta è la marina al suono fragoroso di vostre voci! Raccoglietevi intorno intorno le moltitudini d’abisso! — Veggendo spalancarsi gli orrendi vortici della tempesta, noi ci eravamo rintanati nel fondo più silenzioso; ma le dolci vostre cantilene fanno che ne torniamo alla superficie.

Mirate! come a tanta dolcezza rapiti, ci siamo tutti d’aurei monili adornati, alle corone, alle pietre preziose i fermagli aggiungendo e le zone; tesori inestimabili inghiottiti dalle tempeste tolti con noi, vostra mercè. Quelle voci maliarde così n’ebbero sedotti, o demoni della nostra baia!

Le Sirene. Sappiam troppo bene, che nel rezzo marino s’appagano i pesci del loro vivere spensierato e vagante; ma caro ne fia l’apprendere oggi da voi, che per gioia vi commovete, quanto l’essere vostro da quello de’ pesci si dilunghi.

Le Nereidi e i Tritoni. Prima di venir qua, tal era il nostro proposito; ma adesso, all’erta! o suore, o fratelli! Basta oggidì un attimo solo perchè vi sia pienamente dimostro che noi siamo pesci in tutto e per tutto. (S’allontanano.)

Le Sirene. A un batter d’occhi sonosi ripartiti! difilato verso la Samotracia?1 e’ scomparvero, scorti dal vento propizio. Che vorranno essi dunque tentar colaggiù in mezzo al regno de’ forti e potenti Cabiri?2

  1. A greco della Tessaglia e dell’isola di Lenno, sulle coste della Tracia.
  2. I Cabiri, misteriosi dei, o meglio demoni, che appo i Greci