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parte seconda. 315

apprezzo quella creatura che del vivere si appaga. Il bello perchè bello si ammira, ed ecco tutto: ma non è chi resista alla grazia, quale appunto era in Elena mentr’io la portava.

Fausto. Oh! l’hai tu dunque portata? Colei?

Chirone. Maisì, su questo mio dorso.

Fausto. L’ebbrezza mia s’accresce a miile doppi. Oh me beato! Dove già fu ella sedermi!

Chirone. E così appunto tenevasi stretta alla mia criniera, com’ora fai tu.

Fausto. Oh delirio! Io ne perdo il cervello! Narrami come.... Io non sospiro, io non anelo che lei! Dove l’hai tu presa? Dove lasciata? Ah dimmi....

Chirone. Posso agevolmente rispondere alla tua dimanda. Aveano i Dioscuri sottratta a que’ dì la giovinetta di mano a’ rapitori: i quali, poco usi a lasciarsi sopraffare, crebbero di arditezza e si fecero ad inseguirli precipitosamente. Le paludi Eleusine arrestarono il corso veloce de’ due fratelli, i quali ivano dibattendosi per entro al fango. Passo io allora nuotando all’opposta riva, dove Elena, spiccato un salto, e molto careggiando l’umida mia criniera, ebbemi ringraziato con graziose e dolci parole. Oh! com’ell’era avvenente! Sul fiore degli anni, delizia del vegliardo.

Fausto. Appena settenne!...

Chirone. In ciò che odo ravviso i filologi; essi li ebbero ingannato, come appunto ingannarono prima se medesimi. La donna mitologica nulla ha di comune col resto: i poeti se la fingono come lor torna; nè maggiorenne, nè vecchia, ma sempre di fattezze seducenti; giovine, è rapita; vecchia, è incen-