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parte seconda. 313

Chirone. Non si faccia molto di ciò, che la stessa Pallade sotto le sembianze di Mentore avrebbe il torto a vantarsene. Costoro la finiscono col fare a modo loro, quasi che niuno si fosse preso pensiero dell’educarli.

Fausto. Io n’andrò allora tenuto al gran medico esperto a conoscere il nome di ciascun’erba, a colui che sa a menadito le più occulte virtù de’ semplici, che restituisce al malato la sanità, che al ferito porge sollievo: e ne lo abbraccio qui con tutta l’anima.

Chirone. Se alcun eroe mi venisse a cadere sanguinente da presso, saprei ben io dargli soccorso e consiglio: per altro io terminai col rinunciare l’arte mia alle mammane ed a’ preti.

Fausto. Tu se’ veramente quell’essere singolare che insofferente di lodi con bel garbo se ne schermisce, quasi che de’ suoi pari tutto fosse il mondo ripieno!

Chirone. Tu mi puzzi d’ipocrita, di quella trista razza così destra nell’adulare i popoli ed i re.

Fausto. Non saprai negarmi però, che tu hai praticato cogli uomini più illustri del tuo tempo, seguíto nelle tue azioni quanto vi ha di più nobile, e vissuto i tuoi giorni nelle cure gravi ed imponenti di un Semidio. Ora, fra tutte codeste eroiche intraprese, qual è che reputi essere di maggior conto?

Chirone. Nell’augusta falange degli Argonauti, era ognuno prode a suo modo, e giusta la energia onde sentivasi investito potea bastare a quelle opere nelle quali altri fosse stato da meno di lui. I Dioscuri furono i primi colà dove floridezza di gioventù