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312 | fausto. |
Schermire il padiglion su lor commesso.
Le Ninfe.
Bocconi sull’erba — sorelle, alla riva
Ben tesa in ascolto — l’orecchia ponele.
Chi turba repente la nostra quïete?
Corsiero a galoppo — gli è questo che arriva.
D’udire qual porti — del vento sull’ale
Notturno messaggio — gran voglia m’assale!
Fausto. E’ parmi fremere la terra sotto lo scalpitare romoreggiante d’uno sbrigliato corsiero. Laggiù! mie pupille, laggiù! M’avesse la sorte a favorire sì tosto? Oh! prodigio senza pari! Un cavaliere sopravviene a precipizio, e mostra essere dotato di gran mente e di non poco ardire; gli è ingroppa a un cavallo candido più che neve or ora caduta.... No, non m’inganno, in lui già ravviso il rinomato figliuolo di Fillira! — Ferma, o Chirone! ferma, ti dico, poich’io deggio parlarti.
Chirone. Chi mi vuole? che c’è?
Fausto. Allenta un poco il tuo corso.
Chirone. Io non uso fermarmi.
Fausto. Quando è cosi pigliami, te ne prego, in sul dorso!
Chirone. Fa pare il piacer tuo. Ed ora, dove vuoi tu ch’io ti meni? Siam qui presso alla riva; eccomi presto a recarti traverso al fiume.
Fauslo, salendo in groppa al centauro Chirone. Traggimi dove ti aggrada; ch’io vo’ serbare obbligazione perenne a te, sublime e rara creatura, esimio pedagogo, che per tua gloria crescevi un popolo intero d’eroi, la falange eletta de’ nobili Argonauti, e quanti poscia il mondo crearono de’ poeti.