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parte seconda. 307

Fausto alle Sfingi. O voi, forme di donna, rispondetemi: avvi per avventura alcuna che visto abbia Elena?

Le Sfingi. Non già, che nessuna è del suo tempo; qual è ultima fra noi venne da Ercole uccisa. Potresti domandarne a Chirone; va esso attorno galoppando per questa notte di fantasimi: se in grazia tua s’induce a sostare un tratto, fa conto d’essere servito.

Le Sirene. Nè ciò può mancarti.... Quando ebbe Ulisse a soprastare alcun poco in mezzo a noi, si fe a raccontarne assai cose: noi non potremo ogni cosa ridirti, finché persisti a vagare dalla parte dove s’appiana il mar verdeggiante.

La Sfinge. Uom generoso, sta saldo alle loro seduzioni: e il saggio nostro avviso siati in vece di que’ legami da cui andò Ulisse costretto. Ti replico, che dove ti riesca di abbatterti nell’eccelso Chirone, quanto prometteva ti fia manifesto. (Fausto s’allontana.)

Mefistofele, con dispetto. Che animali son questi, che starnazzando continuo, mai non restano di crocidare, e svolano sì ratto che non pur l’occhio può tenervi dietro, così in lunga fila l’un dopo l’altro? Darebbon essi che fare al più destro cacciatore.

La Sfinge. Pari all’uragano invernale, a malapena sarien colte dalle frecce d’Alcide: son esse le veloci Stinfalidi;1 il loro adoperarsi è per bene. Col

  1. Le Stinfalidi, augelli mostruosi del lago Stinfale, in Arcadia. Aveano le ali, la testa e ’l becco di ferro, e le ugne estremamente uncinate: combattevano per falangi, e nel calor della mischia, strappandosi di dosso le proprie penne, lanciavanle a guisa di strali contro il nemico. Ercole trovò il mezzo di snidarle e disperderle, spaventandole prima con una specie di timballo di bronzo fornitogli da Minerva, e uccidendole poscia tutte quanto a colpi di frecce.