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parte seconda. 293

La sì cara apparenza agli occhi vela.

Mefistofele. Nel raccontare vali proprio un tesoro! Avvegnachè sì picciolo ancora, va! che tu sei un gran visionario. Io veggo un bel nulla.

Homunculus. Non duro fatica a crederlo: tu, uomo del Settentrione, cresciuto in un’età oscura e nebulosa, fra la zotichezza della cavalleria e del monachismo, come mai l’occhio tuo potrebbe qui spaziare in libertà? Luogo acconcio per te non evvi che il buio e la notte. (Volgendo intorno lo sguardo). Un ammasso di pietre bigie, muffate, nauseanti, che ti danno una volta scabra, bassa ed angusta!... — S’egli venisse mai a svegliarsi, sovrappreso da novelle angosce, vedriasi forse a cader morto di tratto! Dopo le vive scaturigini nel fitto de’ boschi, e i cigni, e le bellezze senza velo, visione che suscita le più calde fantasie, or come saprebb’egli fracotesti orrori a usarsi! Appena è che io, il più corrivo degli esseri, vi resista. Via di qua! all’aperto con lui!

Mefistofele. Quel fare spacciato mi giova non poco.

Homunculus. Traggi il forte in battaglia, la fanciulla alle danze, e ogni cosa va di concerto. La notte classica di Valburga, la sarebbe, or ch’io ci penso, opportunissima più che altro a trasportarnelo nel suo proprio elemento.

Mefistofele. Non intesi mai por un motto di tutto questo.

Homunculus. Come dunque l’avreste potuto intendere voi? — Voi che altro non conoscete, tranne gli spettri romantici? Eppure un vero spettro ha di necessità da essere classico.