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284 | fausto. |
recchie lune e pochi soli bastarono a darvi cosiffatta esperienza, che mai la maggiore.
Il Baccelliere. Or quali sono le opere della esperienza? Nebbia! fumo, e non più! E chi è che nascendo sia da meno del suo genio? Eh! confessate per lo meglio, che tutto quanto giammai non si seppe, non val la pena d’apprenderlo.
Mefistofele, dopo una pausa. E così pure la penso da lunga pezza. Un folle er’io, e adesso, a ben considerare, rassembro a me medesimo non più che un imbecille, uno stolido.
Il Baccelliere. Ecco una proposizion che mi garba! Pur finalmente trovo che dirittamente ragiona; gli è questo il primo veglio che mostri avere un po’ di senso comune.
Mefistofele. Andava io in cerca di un mucchio d’oro nascosto, e ne trassi non più che cenere e carboni luridi e spenti.
Il Buccelliere. Dite pur francamente che il vostro calvo cocuzzolo vale poco più di que’ cranii vuoti laggiù riposti.
Mefistofele, con piglio franco e cordiale. E tu, mio buon amico, tu non sai certo sino a qual punto sii zotico e rozzo.
Il Baccelliere. In idioma alemanno l’usar corte sia è un mentire.
Mefistofele, spingendo la scranna a rotelle fin sul proscenio, e indirizzandosi alla platea. Qui mi si tolgono l’aria e la luce; troverò io bene tra voi chi seco mi pigli. Che ne dite, o signori?
Il Baccelliere. Rilevo essere non poco prosuntuoso colui, il quale, alla più meschina epoca per-