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parte seconda. 279

suono acuto e forte rintrona; le pareti ne traballano, e le porte si spalancano violentemente.)

FAMULUS, mal sorreggendosi sui tremuli ginocchi, si avanza dalla parte del corritoio lungo ed oscuro.

Qual romba maladella! Oh spavento! Le scale traballano, i muri sussultano! Traverso al fremente tintinno delle in vetriate a mille colori, miro i lampi guizzare della tempesta. L’ammattonato sobbalza, la calce scassinata cade giù dall’alto a ribocco, e la porta, tuttochè sbarrata da grosso chiavaccio, va in isconquasso spinta da una possa sopra natura. — Ah! vista orribile! un gigante s’è asfibbiata la vecchia pelliccia di Fausto! A quell’aspetto, a quella sguardatura, mi vacillano sotto le ginocchia. Debbo io fuggire? oppur rimanere? Dio! Dio! che sia dunque di me?

Mefistofele fa un cenno colla mano. Apprèssati, amico! — Hai tu nome Nicodemo?

Famulus. Così in fatti mi chiamano, o nobile ed onorevole signore. — Oremus.

Mefistofele. Lasciam questo per ora!

Famulus. Ho molto a caro che mi conosciate!

Mefistofele. Troppo bene ti conosco, vecchio, e sempre a studio, maestro inverniciato! Un uom di dottrina non rifinisce mai di studiare, dacchè non sa altro fare che questo. Per tal modo vassi egli costruendo un mediocre di carte, cui il più gran genio del mondo non arriva a compiere giammai. Il tuo padrone, oh quello sì ch’è uomo meraviglioso! Evvi forse alcuno il quale non conosca il nobile dottor