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vi si lambicca forse il cervello. In verità, che mi prende il ticchio, vecchio e rozzo pastrano, di provare, indossandoli per la seconda volta, il bel caldo che rimandi, e assiso in alto da dottorone, bearmi nel pensiero della mia infallibilità. E’ vuolsi essere della razza de’ sapienti per atteggiarsi al modo loro; e il diavolo ne ha perduto l’uso da lunga pezza. (Scote la pelliccia, e n’escono fuori locuste e scarafaggi d’ogni ragione.)

Coro d’Insetti. Salve! oh salve! antico signor nostro. Noi svolazziamo e ronziamo perocchè ci se’ noto e palese. Tu ci seminavi qui, uno per ciascuna specie, e veniamo, o padre, a miriadi intorno a te a farti festa. La perfidia celasi entro al caore per siffatta guisa, che più agevole riesce lo scoprire in codesti lunghi peli i pidocchi.

Mefistofele. Oh! che dolce solletico mi dà la novella vostra razza! Seminate dunque, e il tempo di raccogliere non fia per mancare. Ho un bello scuotere questo misero straccio, che da ogni scossa sempre ne scaturisce qualcuno. — Libratevi a volo, mie piccole creature, itene leste a rannicchiarvi ne’ centomila cantucci della stanza! Là tra que’ vecchi barattoli, qua in mezzo a quelle oscure pergamene, que’ cocci polverosi d’orciuoli fessi e fuor d’uso, o se vi piace entro alle vuote occhiaie di que’ teschi bianchicci. In tanta copia di lezzo e di spazzatura da ogni lato ammucchiata, i grilli possono durarla per una eternità. (Indossa la pelliccia.) Vieni, fasciami di bel nuovo le spalle! Quest’oggi torno dottore. Sì, certo, ma il nome non basta; dov’è poi chi per tale mi riconosca? (Dà di strappo al campanello, e un