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d’opera; nè da tutto questo altro effetto può venirne salvo che un prospero e avventuroso.

Fausto con tuono grave e solenne. Io scongiuro voi, o Madri, che il trono avete nell’infinito, solitarie da tutta l’eternità e non pertanto socievoli, che la testa portate ricinta delle immagini della vita attiva, ma sceme di vita! Quanto ebbe già l’essere si commuove ed agita colaggiù nella sua apparenza e nel suo splendore, però che aneli alla eternità. E voi sapete, o somme potenze, scompartire ogni cosa pel maestoso padiglione diurno, e per la stellata volta notturna. Una vita gradevole e tranquilla questi esseri avvolge nel corso, altri ne tiene in pugno l’ardito incantatore, il quale, nella sua prodigalità generosa, con piena fidanza, consente che sieno aperti a ciascuno que’ misteri ond’esso ha talento.

L’Astrologo. — Appena la chiave ardente ebbe tocco il catino del treppiedi, che tosto una fitta nebbia vagante empie lo spazio, e insinuandosi a poco a poco, e volteggiando a guisa di nube, si dilata, si accartoccia, si compenetra, si aggruppa e sfuma. E qui, attenti all’intermezzo degli Spiriti! un vero capolavoro! Tu li vedi a muoversi per entro a un’atmosfera musicale; da codesti aerei suoni esala un non so che; e nel passare da luogo a luogo cangiasi in melodia. Ne echeggia ad una e il colonnato e il triglifo; diresti che parle abbia nelle armonie totto quanto il delubro. Ma la nebbia s’abbassa, e di mezzo al vapore diafano un leggiadro garzone tragge innanzi in cadenza. — Qui cessa il mio compito. — Qual bisogno evvi di proferirne il nome? Chi è che in lui non riconosca il grazioso Paride?