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parte seconda. | 267 |
da una carbonaia cui a grande studio accendemmo noi fa gran tempo.
Un Paggio. Io amo perdutamente, messere, e altri mi tien per fanciullo, e mi schernisce e deride.
Mefistofele a parte. Non so oggimai a chi dar retta. (Al Paggio.) Lascia d’impicciarti colle più giovani, e le matrone ti faranno viso migliore. (Molti altri si stringono dattorno a lui). Cazzica! Sempre nuovi importuni! la faccenda è ben dura! Abbiasi dunque ricorso al vero; se il ripiego è disperato, il danno soperchia. Oh Madri! oh Madri! lasciatemi Fausto in libertà. (Osservandosi d’attorno.)
Già per entro al salone impallidiscono le faci, e tolta quanta la corte sotterranea si muove ad un tempo. Veggio sfilare in gran sussiego la comitiva, lungo gli androni, e su per le lontane gallerie. Eccoli raunarsi nel vasto spazio dell’antica sala dei Cavalieri, che li capisce a mala pena. Le alte pareti son coverte di arazzi, le nicchie e i quattro angoli di lucenti armi risplendono. Potrebbesi, io mi penso, far a meno qui di scongiuri magici; chè gli Spiriti vi traggono senz’altro di per sè.
LA SALA DE’ CAVALIERI.
Luce scarsa e fioca.
L’IMPERATORE e i CORTIGIANI siedono al loro posto.
L’Araldo. Il misterioso dominio degli Spiriti mi pregiudica non poco nell’ufficio ab antico asse-