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264 fausto.

accostatevi, e attenzione! Del premere ch’io fo non mi darete lo scambio.

La Brunetta, meltendo orribili grida. Ahi! ahi! che bruciore! Qual enorme pressione! Ti par l’unghia ferrata di un cavallo.

Mefistofele. E sia pure, ma voi intanto siete guarita; e potrete quind’innanzi far capriole quante vi piacerà, e scherzare col piè sotto al desco col vagheggino.

Una Signora, facendosi strada nella folla. Lasciate, in grazia, ch’io possa giungere fino a lui; omai più non reggo all’oppressura che mi strugge: in fondo al cuore ho un sobbollimento d’inferno; ieri ancora in una mia occhiata ei cercava la beatitudine della sua vita, ed eccolo oggi farsela con lei, e a me volgere duramente le spalle!

Mefistofele. Ahi lassa! la è cosa invero grave di troppo: però m’odi. Fa di avvicinartegli in punta di piede, e col carbone ch’io ti darò, traccia una linea sulla manica, sul tabarro, sugli omeri, giù come vien viene, e l’infido sentirà che e quanto il desideri, e proverà dentro al cuore il pungolo del rimorso. Dovrai tu allora senza por tempo in mezzo il carbone inghiottire, senza bagnar le labbra con pur sola una goccia d’acqua o di vino. Attienti al mio consiglio, e tel sentirai fin da stasera sospirare e gemere presso alla soglia.

La Signora. Non sarebbe questo per avventura un veleno?

Mefistofele, sdegnato. Un po’ più di rispetto, o signora! Avresti a correre lunga pezza, prima che ti venisse trovato un carbone cosiffatto. Vien esso