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parte seconda. 265

Il Maresciallo. D’artificii che vi occorra adoperare, non ci cale punto nè poco: alle corte, vuole l’Imperatore che ogni cosa sia tantosto apparecchiata.

Una Bionda, a Mefistofele. Una parola, o signore. Io ho, come vedete, chiara e non poco la cera: al sopravvenire però dell’està noiosa, la ci vuol tutta perchè tale si mantenga! A que’ di cento malaugurate chiazze deturpano la candida mia pelle, lo che mi dà un crepacuore indicibile. In qual modo potre’ io rimediarvi?

Mefistofele. Gran peccato, per fermo! un visetto sì avvenente e gentile macchiato in maggio come il pelo della pantera! Pigliate, gioia mia, fregolo di ranocchia, e lingue di rospi, distillate ogni cosa con somma cura nel plenilunio; e come fia sul mancare, applicatevi debitamente il collirio: venga poi a sua posta la primavera, chè le chiazze non usciranno mai più.

Una Brunetta. La pressa da ogni lato vi assedia; permettete ch’io pure mi faccia a consultarvi. Questo piede intirizzito non mi lascia nė correre, nè tampoco danzare con garbo; e gli inchini, se n’ho da fare, mi riescono bilenchi e sguaiati.

Mefistofele. Consentite ch’io prema un pocolino col piede il vostro offeso e malato.

La Brunetta. Fate pure; gli è ben così che usano fra loro gl’innamorati.

Mefistofele. La pressione del mio piede ha, mia carina, ben altre virtù: similia similibus, questo è il farmaco per ogni male. Quindi è che il piede risana il piede, e lo stesso dite delle altre membra. Ora