Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/262

254 fausto.

Spiriti cui è dato di addentrarsi nel profondo, ben concepiscono per l’infinito una infinita confidenza.

Mefistofele. Una tal cartuccia, in iscambio d’oro e di perle, mette pur bene! Noi sappiamo alla prima il nostro conto, senza tanto pesare o cangiare, e possiamo scialare a ufo colle donnette e col vino. Vuolsi aver poi oro od argento? Un cambiatore è lì pronto sempre; e ove il metallo ci manchi, non si ha che a smuovere un pocolino la terra, porre all’incanto coppe e catenelle, e la carta monetata scompare di tratto in barba a’ miscredenti che ci beffavano insolentemente. Come poi la cosa va pe’ suoi piedi, ad altro più non si pensa; e da oggi in appresso ne’ felici Stati dello Imperatore avrannosi a macca oro, gemme, e biglietti.

L’Imperatore. Voi avete ben meritato del nostro regno, e il guiderdone ha da esser tale, che possibile — il beneficio reso pareggi. Noi vi rendiamo arbitri di quanto lo Stato contiene sotterra; chè indarno si cercherebbe chi più degno fosse di custodire tali tesori. Voi conoscete per punto qual sia nascondiglio più recondito e più basso; facciansi dunque gli scavi pel vostro cenno unico e solo. Stringetevi ora, voi, che donni costituiamo de’ nostri tesori; stringetevi, dico, in perfetto accordo; fate di compiere con zelo a’ doveri del commessovi ministero in cui s’accolgono i mondi esteriori ed interni, dappoichè volle fortuna porvi l’uno all’altro da presso.

Il Tesoriere. Stia lunge da noi ogni lieve ombra di discordia: beato me cui vien dato a collega l’incantatore. (Esce con Fausto.)

L’Imperatore. S’io colmo ora di presenti quanti