Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/261


parte seconda. 253

mentre va essa discorrendo colla rattezza dal fulmine. Il banco de’ cambiatori è spalancato: e non vi è titubazione veruna a dare per cotali biglietti e oro ed argento, con un po’ di sconto, gli è vero. E di là vassene poi, chi al beccaio, chi al panattiere, e chi all’osteria. Della gente, una metà altro non medita che lauti conviti, mentre l’altra metà con indosso vesti di gala si pavoneggia. Il merciaio taglia; il sarto cuce; il vino zampilla nelle bettole al grido non interroito di: Viva l’Imperatore! i bicchieri spumano, gli spiedi girano, le stoviglie sono in moto perpetuo.

Mefistofele. Chi va passeggiando al solitario in sui terrazzi, s’imballe colla bella infra le belle sfarzosamente azzimata; va ella guardando soltecchi per di sotto a’ trafori del suo ventaglio di piume; ti fa un risolino, ti lancia un’occhiata.... e a’ larghi favori d’amore schiudesi la via più ratto assai che non farebbe forza d’ingegno o prestigio di eloquenza. Non fa più mestieri di borse e di tasche, chè una cartaccia può bene agevolmente riporsi in seno, in buona compagnia co’ biglietti amorosi. Il ministro se la reca con devozione entro il breviario, e il soldato, ond’essere più svelto alle manovre, non è tardo ad alleggerire la sua cintura. Mi sia facile di perdono la Maestà Vostra, se apprezzando l’opera stupenda ne’ suoi più tenui vantaggi, paio qui attenuarla.

Fausto. La pienezza dei tesori, che giace dormente sottesso il suolo de’ tuoi Stati, non dà profitto veruno. L’intelletto più vasto mal saprebbe farsi capace di cosiffatta dovizia; la fantasia ne’ più sublimi suoi voli — checchè si tenti, — non è da ciò; ma gli