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dattorno al carro. Attenti! eccovi una collana di perle. (Segue a scoppiettare colle dita) A voi, fermagli d’oro, orecchini, smaniglie; e a voi altresì pettini e diademe di rara perfezione, e gemme preziose incastonate in leggiadre anella; io ne traggo qua e colà delle favilluzze, cercando dove sieno da prendere tutte codeste gale.

L’Araldo. Com’è presta ad aggrappare e ghermire ogni cosa quella cara moltitudine! il donatore n’è aggredito, affogato. E piovono infrattanto gioielli a furia ch’e’ pare un sogno, nè v’ha pur uno il quale non voglia averne la parte sua. Ma che? la è invero cosa da strabiliare. Ciò che tanto ingordamente strappansi questo e quello, poco lor giova, che i tesori isfuggono ad essi come prima hannoli stretti in mano. La collana di perle, ecco si spezza; nè altro rimane in pugno al poveraccio salvo parecchi scarabei che gli s’impigliano alla cute: e com’e’ fa prova di cacciarneli, vedi che gli vanno ronzando intorno alla testa. Gli altri cosi, in luogo degli oggetti di valsente che si reputavano di avere, hanno afferrato non più che vane farfalle di nessun conto. Oh! il gabbamondi! che è sì largo in promettere, e non dà che cianciafruscole e ciarpe!

Il Fanciullo. Ben si vede, come tu così esperto a diciferare ciò che voglian dire le maschere, sei poscia inetto a scoprire l’intima ragion delle cose. Ben altro vuolsi per questo che un araldo di corte; la è faccenda di gente più sottile e penetrativa di molto. Cansiamo per altro ogni diverbio, e sieno invece a te, gran messere, indirizzate le mie questioni, e le mie parole. (Volgendosi a Pluto) Non m’hai tu dato incarico di