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16 cenni su la vita

meglio di quegli scrittori seppe analizzarlo e dipingerlo: questo affannoso affetto lasciò la sua impronta sulla poesia e sulla filosofia inglese, il di cui carattere e il di cui merito particolare sta appunto in questa mestizia severa e virile, le di cui inspirazioni vestono tanta grandezza e profondità ad un tempo.

»Nella più avventurosa posizione che immaginare si possa, accade che la privazione di attività, congiunta a una viva bramosia di agire, ci precipita verso un tremendo bisogno, verso il bisogno di morire, verso la sete del nulla. Noi chiediamo alla vita assai più di quello che essa può darci, e quest’eccessivo tributo che noi preleviamo da essa, non potendo essere ne durevole, nè conforme all’immensa avidità del nostro sentire, noi cerchiamo di sbarazzarci, insensati che siamo! di una vita che non corrisponde più all’altezza e all’imperiosità capricciosa de’ nostri pensieri. Io so quanti tormenti mi siano costate siffatte idee speculative; io so quali sforzi dovetti fare per liberarmi dal costante loro predominio: il successo che ottenne il mio Werther mi provò in seguito che queste stesse mie idee, benchè inferme elleno fossero, pure non mi erano personali. Io non nasconderò adunque nè questi dolori ch’io divideva cogli uomini del mio tempo, nè le mie meditazioni sul suicidio, meditazioni che occuparono una gran parte della mia gioventù.

»Tutto, lo confesso, parevami monotono nella vita. In preda alla noia, insensibile all’amore, io più non udiva quella voce soave della natura che a determinati intervalli ne chiama a fruire delle sue metamorfosi maravigliose. Io non potrei meglio rassomigliare il mio stato che a quello di un’infelice creatura, il di cui orecchio colto da malattia ha smarrito il potere di udire il suono. Lessing, uno de’ nostri critici più distinti, si corrucciava contro la perpetua verzura di primavera: egli avrebbe voluto che, almanco per cangiare, le foglie, in vece del loro costante verdeggiare, vestissero le tinte della porpora o dell’azzurro del