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228 fausto.

Lachesi. A me, che sola in fra tutte mi do a veder ragionevole, a me l’ordinare il lavorio era commesso, e il mio filatoio scorrevole e presto non fu mai che si vedesse volgere a precipizio.

Le fila svolgonsi man mano, e si avvolgono: ciascun filo poi tien l’impulso che gli è dato. Non por uno ne lascio allungare oltre il debito: ma tutti hanno da strignersi attorno al fuso.

S’io potessi per un attimo solo distrarmi, guai pel mondo; le ore battono, gli anni trascorrono, e il tesserandolo dà di mano alle matasse.1

L’Araldo. Quelle che vengono dopo, non arrivereste a conoscerle foste pure versati mille cotanti più che non siete nelle antiche scritture: chè, in veggendole, alle operatrici di tanti mali, dareste senza meno il benvenuto.

Le FURIE.

L’Araldo. Non avrà il mondo chi voglia pre starvi fede, avvenenti quai siete, aggraziate, amabili, e sul fiore dell’età! Trattate con esse a fidanza e non tarderete a provare come somiglianti colombe abbiano il morso letale delle vipere.

Di lor natura e’ son cupe, taciturne; ma oggidì che ogni baggiano magnifica le proprie vergogne, più non monta ch’e’ si dieno per angiolette, e aper-

  1. Cloto tiene la conocchia, Lachesi il filo, Atropo le cesoie. Ma in queste strofe cantate dalle Parche, Goethe inverte i loro uffizi rispettivi, senza dubbio per cagione della mascherata. Cloto ha prese le fatali cesoie di Atropo, e le ha chiuse nell’astuccio per alquanti giorni; la vecchia fila in quel frattempo, e Lachesi ordina il lavoro.